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venerdì 7 ottobre 2016

Come bloccare l'asta della casa e le procedure esecutive.


Sovraindebitamento: come bloccare l'asta della prima casa e le procedure esecutive in corso 

Come funziona il taglio del debito con banche e creditori ex legge n. 3/2012

La legge n. 3/2012, ovvero la c.d. legge sul sovraindebitamento, consente ai cittadini di cancellare i propri debiti mediante precise procedure. Inizialmente pensata solo per i casi di sovraindebitamento dell'impresa agricola, è stata successivamente estesa a tutte le imprese non fallibili e, infine, allargata anche a tutti i consumatori. Soffermando l'attenzione, proprio sugli strumenti previsti per questi ultimi, è essenziale definire due termini basilari cui la legge fa riferimento: sovraindebitamento e consumatore.

Cos'è il sovraindebitamento?

Con tale termine si intende quella situazione in cui si registra un perdurante squilibrio tra le obbligazioni assunte da un soggetto ed il patrimonio prontamente liquidabile per farvi fronte.
A tal proposito si segnala che alcuni dubbi interpretativi riguardano il concetto di patrimonio "prontamente liquidabile", con la conseguenza che, nei fatti, è al giudice che è rimessa la valutazione in concreto su cosa debba intendersi con tale espressione.
Sicuramente nella nozione rientrano tutte le entrate ordinarie, mentre, data la grave crisi immobiliare, molti Tribunali non vi fanno rientrare gli immobili (ad es. il Tribunale di Catania ritiene che l'immobile rientri più nell' "alternativa liquidatoria" che non nel patrimonio in sé al quale si fa riferimento per la procedura di componimento della crisi da sovraindebitamento, specie ed in considerazione del fatto che il mercato immobiliare soffre della grave crisi attuale e che, quindi, le prospettive di vendita non danno certezza alcuna sul possibile ricavato della vendita.

Chi è il consumatore?

Per consumatore, specie ai fini di tale legge, deve intendersi invece quel soggetto, debitore, che ha assunto delle obbligazioni esclusivamente per scopi estranei ad un'attività imprenditoriale.

Le procedure

Le procedure che rientrano nella legge 3/2012, sono tre, ovvero:
· 1) l'accordo di ristrutturazione dei debiti e di soddisfazione dei crediti sulla base di un piano proposto dal debitore;
· 2) il piano del consumatore, inteso al medesimo risultato senza necessità di accordo con i creditori;
· 3) la liquidazione del patrimonio del debitore prevista nel caso in cui il piano o l'accordo proposto non siano fattibili.
Sia la proposta di accordo di ristrutturazione dei debiti, sia il piano del consumatore, non comportano necessariamente la liquidazione dell'intero patrimonio del debitore. 

Il piano del consumatore

La procedura più semplice, e sicuramente più appetibile, è la seconda, ovvero il piano del consumatore, ma non tutti vi possono accedere. Infatti essa non richiede il consenso dei creditori, con la conseguenza che è possibile la falcidia del debito senza che il titolare del credito sia d'accordo. La decisione su di essa è pertanto rimessa esclusivamente al Giudice, il quale deciderà in base ad una relazione particolareggiata redatta dall'OCC (Organismo di composizione delle Crisi), nominato dallo stesso Tribunale.
La peculiarità di questa procedura sta nel fatto che con essa è possibile interrompere tutte le procedure esecutive in corso, tra le quali sicuramente rientrano le esecuzioni forzate sugli immobili, comprese le aste.
Non bisogna dimenticare tuttavia che, se il piano del consumatore è approvato ma non è poi rispettato, tutto torna come prima e le procedure esecutive vengono riattivate.

Il "taglio" dei debiti tributari

Particolare è il caso dei debiti tributari, in quanto la legge, in origine ed ancora oggi, non prevede alcune possibilità di "tagli" in tal senso.
Tuttavia giudici di diversi tribunali sono andati oltre e hanno osato tagliare il debito IVA . Ma a fare storia in tal senso è stata anche una sentenza del 2015 con la quale il Tribunale di Busto Arsizio decurtò dell'80% il debito di un contribuente nei confronti di Equitalia, superando la lettera del testo normativo. 

Il "taglio" dei debiti ipotecari

La legge non fa alcun riferimento neanche ai debiti ipotecari. Occorre quindi capire se ci sono margini anche in merito alla falcidia di tale tipologia di debito. 
Riprendendo un altro caso relativo all'asta della prima casa bloccata al terzo tentativo appare evidente che in tali ipotesi il valore degli immobili subisce un forte ribasso, che può coinvolgere, per naturale conseguenza, la soddisfazione creditoria. 
Nel caso trattato, il valore di vendita dell'immobile, al terzo tentativo d'asta, si era dimezzato e l'offerta minima stabilita avrebbe coperto solo la metà del debito nei confronti della banca, con la conseguenza che se la vendita fosse avvenuta le parti mutuatarie sarebbero rimaste comunque debitrici dell'istituto di credito.
L'opportunità che la legge 3/2012 dà al consumatore invece è quella di liberarsi del debito pur non pagando l'intera sorte capitale.
Con una libera proposta fatta al creditore, attraverso il c.d. piano del consumatore, di pagare ed estinguere totalmente il debito attingendo al patrimonio "prontamente liquidabile", il debitore può infatti conservare la propria casa ed offrire comunque quella cifra che la Banca avrebbe ottenuto in caso di vendita all'asta della prima casa di abitazione.
Come innanzi detto, la peculiarità del piano del consumatore sta nel fatto che non è la banca a dover accettare la proposta fatta dal debitore attraverso l'OCC, ma la decisione finale è rimessa al giudice e l'orientamento di molti tribunali è sicuramente favorevole al debitore e non al creditore, specie quando si tratta di tentare di salvare le prime case. 



giovedì 6 ottobre 2016

Nuova chance di rateazione.


Nuova chance di rateazione.
Anche con arretrati “inevasi”

L’opportunità riguarda coloro che, tra il 16 ottobre 2015 e il 1° luglio 2016, sono decaduti dal piano di ammortamento delle somme dovute in base ad alcuni istituti deflativi


Termini e modalità degli adempimenti necessari per essere riammessi al beneficio della rateazione. Questo il contenuto della circolare 41/E del 3 ottobre 2016, indirizzata ai contribuenti che, avendo optato per il pagamento a rate delle somme dovute a seguito di acquiescenza o di adesione all’avviso di accertamento, al pvc o all’invito a comparire, sono poi decaduti dall’agevolazione nel periodo compreso tra il 16 ottobre 2015 e il 1° luglio 2016, per non aver rispettato le scadenze programmate.
La nuova chance è arrivata con l’articolo 13-bis, comma 3, del Dl 113/2016, secondo cui il debitore decaduto può ottenere “a semplice richiesta”, da presentare a pena di decadenza entro il 20 ottobre 2016 (sessanta giorni dopo la data di entrata in vigore della legge di conversione 160/2016, pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale del 20 agosto), la concessione di un nuovo piano anche se, al momento dell’istanza, le rate scadute non siano state saldate.

Chi sono gli interessati
Possono accedere al nuovo piano di rateazione coloro che:
  • hanno definito le somme dovute mediante adesione all’avviso di accertamento, al processo verbale di constatazione o all’invito a comparire, oppure per acquiescenza all’accertamento
  • hanno optato per il pagamento in forma rateale
  • sono decaduti dal piano perché, dopo aver versato la prima rata, non hanno rispettato le successive scadenze (ossia, non hanno versato una rata, diversa dalla prima, entro il termine di quella successiva). 
La seconda occasione non è prevista per coloro che sono decaduti dalla rateazione relativa agli altri istituti deflativi del contenzioso, come la conciliazione e gli accordi di mediazione.

A quali condizioni
Per quanto riguarda l’ambito oggettivo, la nuova rateazione spetta a condizione che:
  • la decadenza dalla precedente sia avvenuta dopo il 15 ottobre 2015 ed entro il 1° luglio 2016
  • la richiesta sia presentata all’ufficio dell’Agenzia delle Entrate entro il 20 ottobre 2016
  • al momento della presentazione dell’istanza sia presente un debito residuo da pagare.  
Cosa occorre fare
Chi vuole accedere al beneficio deve presentare un’istanza in carta semplice (un fac-simile è allegato alla circolare) all’ufficio competente dell’Agenzia delle Entrate, ossia quello che ha emesso il provvedimento di rateazione (direzione regionale o provinciale, Centro operativo di Pescara).
Tre le strade percorribili per la presentazione: consegna diretta all’ufficio, invio per raccomandata, trasmissione per posta elettronica certificata.
Fondamentale, poi, è la tempestività della richiesta, che deve arrivare all’ufficio, a pena di decadenza, non oltre il prossimo 20 ottobre (in caso di spedizione postale, fa fede il timbro apposto sulla busta).
Nella domanda vanno riportati gli estremi dell’atto a cui si riferisce il piano di rateazione dal quale si è decaduti e il numero delle rate trimestrali in cui si vuole suddividere l’importo da pagare (se non c’è alcuna indicazione, si intende il numero massimo di rate consentite).

Numero massimo delle rate
Per stabilire il numero massimo di rate di cui può essere composto il nuovo piano di ammortamento, occorre verificare la data in cui è stato perfezionato o definito l’atto da cui è originata la precedente rateazione (prima o dopo il 22 ottobre 2015).
Infatti, da quel giorno è entrato in vigore il Dlgs 159/2015 che, per le somme dovute a seguito di accertamento con adesione e di acquiescenza, quando superiori a 50mila euro, ha elevato da dodici a sedici il numero delle rate trimestrali fruibili dal contribuente.
Di conseguenza: se il piano dal quale il contribuente è decaduto riguarda un atto già perfezionato o definito al 22 ottobre 2015, l’importo può essere nuovamente dilazionato in un numero di rate trimestrali da otto a dodici; se l’atto è di data successiva, il numero delle rate va da otto a sedici.

E ora tocca all’ufficio
Una volta verificate l’“ammissibilità” dell’istanza, l’ufficio sospende gli eventuali carichi iscritti a ruolo o affidati all’agente della riscossione a seguito dell’avvenuta decadenza ed elabora un nuovo piano di rateazione, dandone comunicazione al contribuente (consegna diretta, raccomandata A/R ovvero via Pec, se il contribuente ha utilizzato tale strumento per presentare l’istanza o l’ha espressamente richiesto).
Nella comunicazione è indicato l’importo della rata iniziale, che deve essere versato, nei successivi sessanta giorni, tramite modello F24, in cui bisogna riportare anche il codice dell’atto a cui si riferisce il piano rateale originario. Entro dieci giorni dal pagamento, il contribuente deve trasmettere all’ufficio competente copia della quietanza dell’avvenuto pagamento.
A questo punto, l’ufficio, acquisita la data dell’effettivo pagamento della prima rata, predispone il piano definitivo, con indicazione della scadenza delle rate successive (per gli atti perfezionati o definiti entro il 22 ottobre 2015, in base alla data di effettuazione del versamento della rata iniziale; per gli atti post 22 ottobre 2015, in base al termine previsto per versare la rata iniziale) e del loro esatto ammontare.

Se non si rispetta il piano
Nel caso in cui il contribuente, pur avendo presentato tempestiva istanza di riammissione, non paghi la rata iniziale, l’ufficio revocherà la sospensione degli importi iscritti a ruolo o affidati all’agente della riscossione ovvero a iscrivere a ruolo i residui importi, maggiorati della sanzione aggiuntiva per la decadenza.
Invece, in caso di mancato pagamento di una rata diversa da quella iniziale entro il termine della successiva, si perderà nuovamente il beneficio della rateazione, con conseguente attivazione dell’ufficio per il recupero delle somme ancora dovute, compresa la specifica sanzione aggiuntiva per la decadenza.

Professionisti e autonomi: arriva l'Iri


Professionisti e autonomi: arriva l'Iri

Ai blocchi di partenza la nuova imposta sul reddito imprenditoriale che debutterà nella legge di Stabilità 2017
L'IRI è pronta al debutto: la nuova imposta sul reddito imprenditoriale troverà presumibilmente spazio nella già nella legge di Stabilità 2017, introducendo a partire dal 1° gennaio del prossimo anno quanto previsto dalla legge 23/2014, ossia una rimodulazione dell'imposizione sui redditi d'impresa.
Iri, di cosa si tratta e come funziona.
L'IRI rappresenta l'imposta sul Reddito Imprenditoriale che sarà applicata sia al reddito d'impresa, attualmente soggetto ad IRES, che al reddito di lavoro autonomo, soggetto invece ad IRPEF. Si prevede in tal modo un unico trattamento fiscale sia per i redditi d'impresa che per quelli da lavoro autonomo, con una manovra che incentiva soprattutto le piccole imprese e gli imprenditori che reinvestono i proventi dell'azienda.
Questa semplificazione (redditi d'impresa e di lavoro autonomo sotto un unico trattamento fiscale) consente alla tassazione di evidenziare quanto reddito resta al professionista e quanto, invece, viene nuovamente investito, sicché le persone fisiche che svolgono un lavoro autonomo (anche in maniera associata o professionale) o attività d'impresa, artigiani, commercianti, pagheranno le tasse come avviene per le società di capitali.
L'aliquota Iri
Per quanto riguarda, invece, l'aliquota IRI 2017, si prevede sarà unica e fissa, presumibilmente pari al 24%, applicabile al solo reddito d'impresa o di lavoro autonomo. Invece, per quanto riguarda gli utili, ossia la parte di reddito derivato dall'impresa prelevati dal titolare per soddisfare i propri bisogni personali o della famiglia, rimarrà l'IRPEF con aliquota progressiva in base alle fasce di reddito.

Approvata la stretta sui voucher


Lavoro: approvata la stretta sui voucher

Via libera definitivo del Governo al decreto correttivo per il Jobs Act.
Voucher tracciabili con obblighi di comunicazione almeno 60 minuti prima dell'avvio delle prestazioni occasioni, via sms e e-mail, con sanzioni per chi non ottempera fino a 2.400 euro per ciascun lavoratore. È questa la stretta da tempo annunciata che ha ricevuto il via libera definitivo ieri da parte del Consiglio dei Ministri in un decreto correttivo del Jobs Act.
Tra le altre novità che hanno trovato spazio nel provvedimento approvato ieri rilevano anche: il rifinanziamento degli ammortizzatori, l'incremento della Naspi a favore dei lavoratori stagionali e la possibilità di trasformare i contratti di solidarietà da difensivi ad espansivi.
Il decreto legislativo, composto da sei articoli di integrazione e correzione dei decreti n. 81/2016 e nn. 148, 149, 150 e 151/2015, andrà ora alla firma del presidente della Repubblica per poi essere pubblicato in Gazzetta Ufficiale ed entrare in vigore il giorno successivo.
Ecco, nel dettaglio, le novità:
Voucher tracciabili
Professionisti e imprenditori non agricoli che ricorrono al lavoro accessorio dovranno comunicare almeno 60 minuti prima dell'inizio delle prestazioni occasionali di lavoro accessorio, alla sede territoriale competente dell'Ispettorato nazionale del lavoro, con sms o email, i dati anagrafici del lavoratore (o il codice fiscale), il luogo, il giorno e la durata (comprensiva di ora d'inizio e di fine) della prestazione).
La ratio della novella è quella di garantire la piena tracciabilità dei buoni lavoro al fine di contrastarne l'utilizzo irregolare ed è attuata "mutuando – si legge nel comunicato del governo – la procedura già utilizzata per tracciare il lavoro intermittente". Una finalità che spiega anche la severità delle sanzioni che, analogamente a quelle previste per il lavoro intermittente, prevedono in caso di violazione degli obblighi di comunicazione una sanzione amministrativa da 400 fino a 2.400 euro per ogni lavoratore per cui la comunicazione stessa è stata omessa.
Inoltre, chi fa ricorso ai voucher potrà ritrovarsi gli ispettori in azienda, atteso che, nella programmazione annuale, le direttive del ministro del lavoro conterranno indirizzi specifici per la vigilanza dei buoni.
Agricoli
Gli imprenditori agricoli che decidono di ricorrere al lavoro accessorio, dovranno effettuare la comunicazione con le stesse modalità (indicando dati anagrafici o codice fiscale del lavoratore, luogo e durata della prestazione) e nello stesso termine degli altri committenti, con riferimento ad un arco temporale non superiore a tre giorni (la versione precedente del provvedimento prevedeva 7 giorni). Si tiene conto delle specificità del lavoro agricolo e delle difficoltà di prevedere anticipatamente il numero esatto di lavoratori da utilizzare.
Stagionali
Vengono stanziati, inoltre, 135 milioni per il biennio 2016-2017 (57 milioni per il 2016 e 78 per il 2017) con il fine di potenziare la nuova indennità di disoccupazione (Naspi) per i lavoratori stagionali dei settori del turismo e degli stabilimenti termali. Chi ha lavorato almeno tre anni su quattro usufruendo di 6 mesi di indennità avrà un mese di sussidio aggiuntivo fino a un massimo di 4 mesi.
Secondo la relazione tecnica sono circa 88mila i lavoratori interessati dalla misura.
Contratti di solidarietà
Il provvedimento approvato ieri va ad integrare anche il d.lgs. n. 148/2015 prevedendo che i contratti di solidarietà "difensivi" (finalizzati alla gestione degli esuberi) potranno essere trasformati in "espansivi" in modo da "favorire l'incremento degli organici e l'inserimento di nuove e più aggiornate competenze".
La trasformazione potrà riguardare i contratti di solidarietà in corso da almeno un anno, nonchè quelli stipulati prima dell'1 gennaio 2016, a patto che non venga prevista una riduzione d'orario superiore a quella concordata.
Ammortizzatori
Per i lavoratori delle imprese delle c.d. aree di crisi complessa (che cessano di godere dell'integrazione straordinaria nel periodo luglio/dicembre 2016), la cassa integrazione straordinaria può essere prorogata, fino a un massimo di 12 mesi, una volta esaurita a causa dei nuovi limiti fissati dal Jobs act.
A tal fine sono stati stanziati 216 milioni di euro. Le imprese però potranno accedere alla misura a patto che presentino "un piano di recupero occupazionale che prevede appositi percorsi di politiche attive del lavoro, concordati con la Regione, e finalizzati alla rioccupazione dei lavoratori".
La relazione tecnica del provvedimento spiega che oggi nelle aree di crisi individuate sono oltre 11mila i lavoratori che beneficiano del trattamento di integrazione straordinaria con un onere mensile di circa 1.600 euro ciascuno.
Dal provvedimento approvato (rispetto alla versione precedente) è scomparso, invece, per paura di incorrere in un eccesso di delega, il riferimento ai 150 milioni da destinare alla prestazione di sostegno al reddito di 500 euro al mese per i lavoratori licenziati ad esito di un programma di Cigs o in deroga dalle imprese nelle aree industriali di crisi individuate.
Infine, viene disposto che le regioni e le province autonome di Trento e Bolzano potranno utilizzare fino al 50% delle risorse assegnate per la mobilità e la cassa in deroga. Sinora le amministrazioni regionali potevano aumentare i 3 mesi di durata del 5%, con l'attuale misura, invece, la copertura degli ammortizzatori in deroga potrà arrivare sino a 4 mesi e mezzo.

Pos obbligatorio ???


Pos obbligatorio per commercianti e professionisti? La verità su sanzioni e limiti nel 2016

I negozi e gli studi professionali hanno l’obbligo del POS? Cosa dice la legge del 2016 e qual è la verità sulle sanzioni in caso di negato pagamento con carta e bancomat? Facciamo chiarezza.
Le imprese e i professionisti hanno l’obbligo del POS oppure no? Quali sono le sanzioni previste e i limiti di importo obbligatori? Facciamo il punto della situazione al 2016.
La Legge di Stabilità 2016 ha modificato la normativa riguardo l’obbligo, per imprese e professionisti, di installare l’apparecchio di pagamento elettronico (POS) nei negozi e negli studi. La legge impone che chiunque si occupi di vendita di prodotti e prestazione di servizi (compresi quelli professionali) debba accettare carte di credito e prepagate.
Tuttavia quella del POS obbligatorio per le imprese commerciali è una questione discordante. Infatti, sebbene la legge abbia già imposto nel 2014 il POS obbligatorio per gli esercenti - inizialmente senza sanzioni pecuniarie - non tutti hanno capito bene cosa si rischia se l’apparecchio per l’e-payment non è installato.
Non ne sono consapevoli molti commercianti, e sono confusi gli acquirenti, che alla negazione del bancomat tirano fuori i contanti o rinunciano all’acquisto.
La confusione riguardo l' obbligo del POS è dovuta principalmente al fatto che le sanzioni, finora, anche se previste, sono state quasi completamente assenti. Inoltre, nonostante l’obbligo, molte attività rimangono restie all’utilizzo della moneta elettronica a causa dei costi e le perdite sul bilancio finale. Per questo motivo in sede parlamentare è già in corso l’esame di un nuovo disegno di legge al riguardo.
Facciamo chiarezza sulla normativa attuale sul POS obbligatorio e sulle sanzioni previste in mancanza di installazione e attivazione dell’apparecchio per bancomat e carta.
POS obbligatorio? Sanzioni, agevolazioni e limiti d’importo
L’introduzione del POS obbligatorio fa parte delle misure prese dal Ministero delle Finanze per contrastare l’evasione fiscale e promuovere i micro-pagamenti elettronici, con l’obbligo di POS si è tenuti a dichiarare anche il centesimo dal momento che è tutto tracciabile.
Per lo stesso motivo la Legge di Stabilità 2016 ha decretato che anche i liberi professionisti (medici, dentisti, avvocati, architetti, ingegneri, agronomi, geometri...) debbano accettare i pagamenti in modalità elettronica dai loro rispettivi clienti. Professionisti ed esercenti, stando a quanto dice la legge, hanno l’obbligo di accettare pagamenti digitali anche per importi inferiori ai 30€.
L’obbligo riguarda tutte le imprese ed i professionisti, ad eccezione di coloro che riescono a dimostrare l’“oggettiva impossibilità tecnica” nell’utilizzo del POS.
Per incentivare l’utilizzo di pagamenti elettronici, chi si mette in regola gode di agevolazioni fiscali e ha diritto a detrarre alla dichiarazione dei redditi il costo in percentuale di ciascuna transazione dall’imponibile.
Inoltre, per favorire la maggiore diffusione dell’e-payment, è stato proposto di tagliare la commissione finale per i micropagamenti fino a 5€. In questo modo carte di credito e bancomat potrebbero essere accettate anche per pagare la colazione al bar o il giornale in edicola.
Chi trasgredisce l’obbligo del POS, invece, può essere soggetto a sanzioni che partono da 500€ e che aumentano in presenza di altre irregolarità accertate.
Subita la sanzione, commerciante o professionista avrà 30 giorni di tempo per adeguarsi e 60 giorni per comunicare alla Guardia di Finanza si essersi messo in regola. Per chi continua a trasgredire, invece, sono previsti dai 1000€ di multa alla sospensione dell’attività.
POS obbligatorio: quanto costa ai commercianti?
Commercianti e professionisti devono dotarsi di apparecchio POS a proprie spese. L’acquisto e il possesso di un POS comporta spese per costi fissi, canoni mensili e commissioni, e le condizioni di spesa variano da banca a banca e dal tipo di carta usata dall’acquirente.
In media la spesa per la sola attivazione di un POS si aggira dai 40€ agli 80€, ma ai costi di gestione si aggiungono quelli per i servizi. In tutto la spesa media annua per avere e utilizzare un apparecchio POS collegato a conto corrente pesa circa il 2% sul ricavo annuo dell’azienda.
Il fatto è che, stando agli studi di mercato, il POS piace più ai consumatori (ai quali non costa niente) che agli esercenti. Infatti 7 italiani su 10 preferiscono pagare con carta e circa il 16% preferisce rinunciare all’acquisto o scegliere un altro negozio dove può pagare con bancomat. D’altronde, dicono negozianti, baristi e ristoratori, usare il POS per i pagamenti sotto i 30€ è una stangata per loro stando alle disposizioni bancarie attuali.
POS obbligatorio ma non sanzionabile: cosa significa?
L’obbligo del POS sarebbe dovuto entrare in vigore con la Legge di Stabilità dal 1° gennaio 2016, ma attualmente chi non rispetta l’obbligo di accettare pagamenti digitali non incorre in nessuna sanzione.
Il Ministro dell’Economia e delle Finanze e il Ministero dello Sviluppo Economico avrebbero dovuto definire i tetti delle commissioni applicati ai pagamenti elettronici, per favorire la totale trasparenza, e predisporre che esse siano commisurate ai servizi effettivamente erogati.
In presenza di vuoti normativi, però, negozianti, ristoratori e professionisti che negano la possibilità di pagare con carta sono in difetto per legge ma non sanzionabili.

Scontrino di chiusura anche dopo le 24


Esercizi pubblici - scontrino di chiusura anche dopo le 24

Gli esercizi commerciali con attività oltre le ore 24 possono emettere lo scontrino di chiusura nel momento effettivo in cui ha termine l’attività
Con la CM 12/2016 l’Agenzia delle Entrate ha riconosciuto analogamente ai soggetti che effettuano attività di intrattenimento anche per gli esercizi pubblici commerciali (bar, ristoranti, ecc.) la cui attività si protrae oltre la mezzanotte, la possibilità di posticipare l’emissione dello scontrino di chiusura giornaliera (cd. “scontrino di mezzanotte”) al termine dell’effettivo svolgimento dell’attività.
In tal caso, ancorché lo scontrino di chiusura sia emesso nel giorno successivo, i corrispettivi vanno imputati al giorno precedente.

Dal 2016 cinque anni per gli accertamenti fiscali


Dal 2016 cinque anni per gli accertamenti fiscali

Due gli interventi “massivi” che riguardano potenzialmente tutti i cittadini: anzitutto si allungano i tempi di accertamento per Iva a e imposte sui redditi da 4 a 5 anni, entro il 31 dicembre del quinto anno successivo a quello di presentazione (quindi entro il 31 dicembre 2022 per i redditi del 2016, da dichiarare nel 2017); in caso di dichiarazione omessa o nulla si passa a 7 anni.
Quando poi le indagini fiscali riguardano i paradisi fiscali, i tempi si allungano molto: i termini sono raddoppiati, quindi si passa al decimo anno successivo a quello di presentazione della relativa dichiarazione, che salgono a 14 in caso di omissione.
Poi ci sono le norme sull’uso del contante. Se è vero che da un lato la soglia per utilizzare contante è stata elevata da mille a 3mila euro - quindi, un intervento che non sembra andare proprio nella direzione di contrastare l'evasione - è anche vero che dall’altro lato il divieto ora riguarda anche il trasferimento di denaro contante o di libretti di deposito bancari o postali al portatore o di titoli al portatore in euro o in valuta estera (a meno che non si passi da banche, Poste italiane, istituti di moneta elettronica e istituti di pagamento).
Inoltre, tutti gli esercenti dovranno accettare le carte di credito (tranne casi di «impossibilità tecnica»). Resta a mille euro il limite il money transfer e per l’emissione di assegni bancari e postali senza indicazione con girata libera e senza la clausola di non trasferibilità.
Violazioni penali
Chiunque venga denunciato per violazioni tributarie non se la caverà con la sanzione di arresto o reclusione ma dovrà anche restituire il maltolto. Diventa infatti obbligatoria la segnalazione alle Entrate da parte delle procure della Repubblica o della polizia giudiziaria, per qualsiasi reato da cui possa derivare un provento o vantaggio illecito, anche indiretto. Vengono poi definiti i «proventi illeciti», che sono quelli derivanti da fatti, atti o attività qualificabili come illecito civile, penale o amministrativo se non già sottoposti a sequestro o confisca penale.

Controlli fiscali.



Controlli fiscali, per la Cassazione la denuncia anonima vale come prova


Una denuncia anonima legittima l’avvio delle indagini, ma non può essere posta a fondamento di perquisizioni, sequestri e intercettazioni, né può rappresentare i gravi indizi di evasione che consentono all’amministrazione finanziaria di richiedere all’autorità giudiziaria l’accesso al domicilio fiscale del contribuente, per sottoporlo a verifica fiscale. 
È questo l’orientamento consolidato della giurisprudenza di legittimità, come riportato da Il Sole 24 Ore, confermato anche recentemente, in sede penale, con la sentenza 34450 depositata il 4 agosto

Controllo obblighi fiscali.




Attività di controllo.

L’attività di controllo del corretto adempimento degli obblighi fiscali dei contribuenti rientra tra i compiti istituzionali affidati all’Agenzia delle Entrate ed è finalizzata a contrastare i fenomeni evasivi ed elusivi e a favorire l’adempimento spontaneo del contribuente(tax compliance). 
Da un lato, quindi, l’Agenzia ha il compito di contrastare i comportamenti fiscalmente non corretti e, dall’altro, di provocare un effetto dissuasivo che stimoli al massimo l’adesione spontanea.
Per verificare il regolare adempimento degli obblighi tributari, l’Agenzia delle Entrate adotta diversi strumenti di controllo: i controlli automatizzati e formali delle dichiarazioni fiscali, gli inviti al contraddittorio e i questionari, le attività istruttorie esterne (per esempio, controlli mirati e verifiche fiscali), le indagini finanziarie, l’attività di tutoraggio nei confronti delle imprese di più rilevante dimensione, ecc….
Utilizzando questi metodi spesso si giunge alla rettifica della posizione reddituale del contribuente che viene formalizzata attraverso l’avviso di accertamento; si tratta di un atto con il quale l’Agenzia delle entrate chiude il controllo e rappresenta il risultato dell’attività istruttoria e dei singoli metodi accertativi utilizzati (per le persone fisiche, ad esempio, l’accertamento sintetico del reddito complessivo; per gli imprenditori, sempre in via esemplificativa, l’accertamento contabile o induttivo).
L’attività di accertamento può prendere le mosse dall’acquisizione di elementi presso il contribuente (verifiche, ispezioni, accessi, richieste di documenti, questionari, ecc.) oppure dagli elementi in possesso dell’Agenzia delle Entrate (dichiarazioni, atti registrati, comunicazioni varie).
Le conclusioni di queste attività istruttorie vengono sempre portate a conoscenza del contribuente attraverso degli atti che, in maniera esaustiva, riportano la motivazione della pretesa, le maggiori imposte dovute, le sanzioni. In questi stessi atti vengono rese note le modalità per sanare le anomalie riscontrate e per chiedere, nelle ipotesi in cui il contribuente abbia fondate ragioni per ritenere non corretta la pretesa dell’amministrazione, un intervento dell’ufficio per l’annullamento dell’atto in autotutela oltre alle modalità e ai tempi per difendersi davanti al giudice tributario.

Commerciante evade 0,90 centesimi: il fisco gli chiude il bar per 3 giorni.



Commerciante evade 0,90 centesimi: il fisco gli chiude il bar per 3 giorni.

Un‘evasione fiscale di 0,95 centesimi è costata cara ad un noto locale sito in provincia di Modena. Il Fisco, avrebbe imposto la chiusura per circa tre giorni oltre ad infliggere una multa di 2400 euro per aver evaso ben 0,95 centesimi. 
«Lavoro a Carpi da 23 anni e l’ho sempre fatto nel rispetto delle regole ora per 95 centesimi mi trattano come se fossi Al Capone: mettere i sigilli alla porta per tre giorni, precludendo l’ingresso anche allo staff, mi sembra eccessivo», questo quanto dichiarato dal titolare del locale. 
Purtroppo gli agenti si sono attenuti a quanto espresso dalla legge, secondo la quale qualora vengano commesse quattro violazioni dell’obbligo di emissione dello scontrino fiscale nel giro di cinque anni viene applicata la sospensione della licenza e l’autorizzazione all’esercizio dell’attività da un minimo di 3 giorni ad un massimo di sei mesi.
Nello specifico si tratta di quattro scontrini che valgono in totale 20 euro e 50 centesimi e l‘importo dell’evasione corrisponderebbe a circa 0,95 centesimi. 

“In due casi si tratta di clienti che sono usciti dimenticandosi lo scontrino sul bancone, in un altro caso il cliente era uscito a fumare mentre consumava e non aveva ancora pagato abbiamo fatto ricorso ma purtroppo abbiamo perso. 
Capisco la lotta all’evasione fiscale e sono d’accordo ma chiudere un locale per tre giorni con i sigilli alla porta è una pena troppo alta rispetto a quello che è successo. 
Se avessi voluto evadere le tasse avrei fatto ben altro, non un’evasione di pochi centesimi su qualche colazione. 
Senza contare che si punisce me e tutti i ragazzi che lavorano con me”, ha aggiunto il titolare dell’esercizio.

Fisco, caro - rifiuti.



Fisco, caro-rifiuti per bar e negozi

Cgia, cresciuti dal 30% al 50% in sei anni.

VENEZIA, 6 AGO - Tra il 2010 e il 2016, secondo la Cgia di Mestre, i negozi di frutta, i bar e i ristoranti hanno subito un aumento della tariffa per l'asporto dei rifiuti tra il 30 e il 50%. Per le famiglie, invece, la crescita è stata mediamente più contenuta. Un nucleo con 2 componenti ha pagato il 33,7% in più, con 3 del 36,2% e con 4 del 32,6%. Il costo dell'asporto rifiuti, purtroppo, ha assunto dimensioni molto preoccupanti: l'ultimo dato disponibile rileva che le famiglie e le imprese italiane pagano quasi 8,8 miliardi di euro l'anno.

Sebbene la produzione dei rifiuti abbia subito in questi ultimi anni una contrazione molto significativa (2,8 milioni di tonnellate in meno tra il 2007 e il 2014) e l'incidenza della raccolta differenziata sia aumentata notevolmente (+64,4% sempre tra il 2007 e il 2014), le famiglie e le aziende sono state costrette a pagare di più, nonostante la qualità del servizio non abbia registrato alcun miglioramento. Anzi, in molte aree del paese è addirittura peggiorato.

Affitto con riscatto.


Affitto con riscatto, ecco quali sono i possibili rischi.
Una valida soluzione per chi è in procinto di acquistare un immobile e non riesce a ottenere un mutuo casa è il cosiddetto rent to buy, ossia la locazione finalizzata all’acquisto. Si tratta di una forma di compravendita immobiliare in cui il futuro acquirente ha la possibilità di entrare da subito nella casa che intende acquistare attraverso un programma preparatorio all’acquisto
Il rent to buy è sicuramente una tipologia di contratto vantaggiosa (specie se si considera la stretta creditizia che affligge gli istituti e rende sempre più difficile l’erogazione di finanziamenti bancari), ma che va stipulata con tutte le precauzioni del caso, valutando in maniera scrupolosa i termini del contratto
Anzitutto bisogna tener presente che i venditori di immobili sono generalmente poco propensi ad adottare questa formula, che, anziché una vendita in tempi brevi e incasso immediato delle somme, prevede – almeno nella prima fase del programma – il pagamento di un affitto mensile
Un altro aspetto da tenere in considerazione è legato ai canoni contrattuali, che in questo caso risultano più elevati della media di quelli riscontrati nelle normali transazioni immobiliari. Nel dettaglio, la differenza di prezzo ammonta a circa il 15% in più per il rent to buy. A ciò si aggiunga che gli immobili acquistati con il rent to buy hanno un costo che, nel lungo periodo, oscilla fra il 5 e il 20% in più rispetto alla media degli immobili equivalenti in zona venduti con formula “normale”
I contratti di affitto con riscatto non prevedono, inoltre, il coinvolgimento di un notaio, che possa certificare la corretta individuazione e classificazione dell’immobile. In assenza di una figura notarile, decadono le garanzie che, in genere, disciplinano le tradizionali compravendite immobiliari. Ad esempio, in caso di fallimento, l’acquirente non ha diritto a ricevere le somme versate a titolo di acquisto futuro né tanto meno a utilizzarle per comprare l’abitazione in un momento successivo. Secondo le normative vigenti in materia, il diritto di riscatto è, infatti, possibile solo nel caso in cui si versi per intero il prezzo congruo originale dell’immobile.
In ogni caso con la regolamentazione in essere (decreto Sblocca Italia) è stato introdotto l’obbligo della trascrizione del contratto nei registri immobiliari, e servono a difendere l’immobile proprio da accadimenti come ipoteche, pignoramenti o sequestri.

Bar dei circoli.




Bar dei circoli: come fare per non sbagliare…
Sulla possibilità, da parte delle associazioni, di gestire un bar interno si è spesso detto tanto e, a volte, anche troppo, al punto che ci siamo resi conto della necessità di riprendere in mano la questione per sintetizzarla in alcuni concetti chiave.
In primo luogo, dobbiamo capire cosa intendiamo quando ci riferiamo al “bar” dei circoli. Quello che infatti gli enti associativi possono gestire è, caso mai, un “posto di ristoro”, cioè un’attività che faccia da sostegno a quella istituzionale e principale. Così, ad esempio, si comprende come il socio che ha svolto un’intensa attività fisica presso i locali del circolo possa avere la necessità di ristorarsi con una bevanda fresca e un panino. Questo è il concetto “chiave” che consente di interpretare ogni situazione, per definire se si tratti di un’attività commerciale o meno, e che è stato poi tradotto nel testo normativo.
Il legislatore pensava infatti a situazioni analoghe a quella sopra descritta quando ha introdotto nell’attuale articolo 148 Tuir la disposizione (comma 5) in base alla quale “non si considerano commerciali, anche se effettuate verso pagamento di corrispettivi specifici, la somministrazione di alimenti e bevande effettuata, presso le sedi in cui viene svolta l’attività istituzionale, da bar ed esercizi similari, […] sempreché le predette attività siano strettamente complementari a quelle svolte in diretta attuazione degli scopi istituzionali e siano effettuate nei confronti” dei soci e soggetti equiparati. Per dovere di cronaca si ricorda che una disposizione analoga a quella contenuta nel Tuir è presente anche nel Decreto Iva (articolo 4, sesto comma, D.P.R. 633/1972).
Elementi necessari per poter considerare non commerciale questa attività sono, quindi:
il fatto che si tratti di “somministrazione” di alimenti e bevande, che è cosa ben diversa dalla ristorazione (che presuppone la trasformazione e manipolazione di prodotti elementari in pietanze);
l’attività deve essere svolta presso la sede sociale;
l’attività deve essere complementare alle finalità istituzionali;
l’attività deve essere rivolta ai soci.
Se queste condizioni vengono rispettate, la somministrazione non è commerciale, anche se effettuata dietro pagamento di un corrispettivo specifico (e va da sé che in caso contrario l’attività comporta la necessità di aprire la partita Iva).
Attenzione, però: l’agevolazione è riservata ad una specifica platea di soggetti. Si tratta, nello specifico, delle associazioni di promozione sociale comprese tra gli enti di cui all’articolo 3, comma 6, lettera e), L. 287/1991, le cui finalità assistenziali sono riconosciute dal Ministero dell’interno. Facciamo riferimento, pertanto, agli enti di carattere nazionale (sono circa 200 soggetti il cui elenco è riportato nel sito internet del Ministero del lavoro) ma anche a tutte le associazioni locali che risultano affiliate a tali enti. Questi soggetti possono beneficiare di una speciale licenza amministrativa per lo svolgimento dell’attività di somministrazione e sono tenuti ad una comunicazione al Comune dove svolgono l’attività (la materia è stata regolata, da ultimo, con il D.P.R. 235/2001).
Anche sotto il profilo amministrativo, però, la licenza è subordinata al rispetto di determinati vincoli. Nello specifico, l’attività deve essere rivolta e riservata esclusivamente agli associati e gestita direttamente.
Riassumendo, quindi, il bar riservato ai soci di un’associazione affiliata ad un ente di carattere nazionale pone in essere un’attività legittima dal punto di vista amministrativo e non soggetta ad oneri contabili e dichiarativi sotto il profilo fiscale.
Ciò non significa, beninteso, che tutti gli altri enti non possano svolgere attività di somministrazione di alimenti e bevande. È infatti sempre possibile, anche per un’associazione non affiliata, aprire un’attività di somministrazione seguendo, nello specifico, le prescrizioni contenute nell’articolo 3 D.P.R. 235/2001 (in questo caso deve essere presentata una domanda di autorizzazione). Va da sé, però, che sotto il profilo fiscale, l’attività non può essere decommercializzata, anche nel caso in cui sia rivolta esclusivamente ai soci dell’associazione.
Non c’è via di scampo, infine, se la somministrazione è rivolta a non soci. In questo caso, anche se il circolo è affiliato ad un ente di promozione, l’attività va considerata commerciale. Sotto il profilo amministrativo, le conseguenze potranno essere anche più pesanti tenuto conto che la speciale licenza circolistica è riconosciuta, come detto, solo se l’attività è rivolta esclusivamente ai soci.
Resta infine fermo che la somministrazione di pasti o – il che è lo stesso – la ristorazione (che, come visto è cosa diversa dalla somministrazione di alimenti pronti e bevande) è un’attività sempre commerciale, a prescindere dalla circostanza che chi la pone in essere sia un’associazione affiliata ad un ente di promozione sociale ovvero sia rivolta ai soli soci.

Home Restaurant.


Home restaurant, tetto di 10 coperti
Ecco le regole in arrivo per l’Italia

È la versione Uber dei ristoranti: il padrone di casa cucina a pagamento per i viaggiatori che vogliono provare i piatti di tutti i giorni. I commercianti protestano e parlano di concorrenza sleale. Alla Camera è partita la discussione sul ddl che li disciplina.
Due stanze al massimo. Non più di 10 coperti. E poi il limite alle aperture: non più di otto al mese, non più di ottanta l’anno. Anche l’Italia prova a regolamentare gli home restaurant, ultimo ritrovato della sharing economy e di quel filone che va da Uber ad Airbnb, dove i comuni mortali fanno quello che prima era riservato agli addetti ai lavori, dai tassisti agli albergatori. Avere un home restaurant significa trasformare la propria casa in un ristorante occasionale, aperto a pagamento per i viaggiatori che vogliono gustare la cucina casalinga del posto. Contatto via internet, atmosfera informale, ricette di una volta e (almeno nelle intenzioni) conto meno salato.
La discussione
Le nuove regole sono contenute in un disegno di legge che ha appena iniziato il suo percorso in Parlamento, con l’avvio del dibattito nella commissione Attività produttive della Camera. Il testo è stato presentato da Azzurra Pia Maria Cancelleri, del Movimento 5 stelle. Oltre ai requisiti di cui abbiamo parlato all’inizio, prevede altre regole come l’obbligo di comunicare l’apertura di un home restaurant con la cosiddetta Scia, la segnalazione certificata di inizio attività.
7 mila cuochi social
Gli home restaurant sono nati negli Stati Uniti nel 2006, per poi diffondersi subito nel Regno Unito. In Italia siamo più indietro ma non si tratta di un fenomeno residuale. Secondo una ricerca del Centro studi turistici, nel 2014 il settore ha fatturato 7,2 milioni di euro, con 7 mila cuochi che hanno aperto la loro casa a conoscenti o sconosciuti contattati tramite social networks. Sempre nel 2014 hanno cenato in un home restaurant italiano 300 mila persone.
Concorrenza sleale?
E i ristoratori tradizionali? Non siamo ancora alle barricate, come quelle dei tassisti di tutto il mondo contro Uber. Ma, secondo un sondaggio Swg per Confesercenti, l’80% dei ristoratori italiani dice che si tratta di concorrenza sleale. E praticamente tutti, il 92%, sostengono che il fenomeno deve essere regolato. Il testo in discussione in Parlamento ha proprio questo obiettivo. Ma si tratta di un disegno di legge presentato da un gruppo di parlamentari. I tempi non saranno brevi.

Equitalia.


Equitalia: 60 giorni per chiedere la rateizzazione delle cartelle.
Al via i 60 giorni a disposizione dei contribuenti per chiedere la rateizzazione delle cartelle Equitalia. E' stata pubblicata ieri in Gazzetta Ufficiale, infatti, per entrare subito in vigore, la legge di conversione del decreto legge enti locali , che concede ai contribuenti decaduti dal beneficio della rateizzazione dei debiti di essere nuovamente ammessi alla procedura agevolata.
La nuova rateizzazione
Nello specifico, tutti coloro che erano decaduti, al 1° luglio scorso, dalla rateizzazione potranno essere riammessi alla procedura, ottenendo un piano di rientro fino a un massimo di 72 rate mensili "fatti salvi i piani di rateazione con un numero di rate superiore" già precedentemente approvati
Gli interessati dovranno presentare richiesta entro 60 giorni dall'entrata in vigore del decreto e sarà riammesso anche chi, per i mancati pagamenti pregressi, è decaduto dal beneficio entro l' 1 luglio 2016.
La possibilità è concessa per importi fino a 60mila euro e anche se "all'atto della presentazione della richiesta, le rate scadute alla stessa data non siano state integralmente saldate".
I contribuenti che accedono a questa seconda "chance", tuttavia, decadranno definitivamente se non pagano 2 rate, anche non consecutive.
Le altre novità della legge
La nuova legge, si ricorda, contiene anche numerose altre misure. A partire dalla sospensione, fino al 31 dicembre 2016, dell'addizionale comunale che ha aumentato la tassa di imbarco di 2,5 euro, sino all'autorizzazione "in via eccezionale all'assunzione nei vigili del fuoco di 193 unità, passando per la proroga delle concessioni balneari fino al 2020.
Con l'entrata in vigore della legge si apre, inoltre, la strada ai risarcimenti alle vittime del disastro ferroviario avvenuto in Puglia lo scorso 12 luglio e alla riscossione coatta per chi non paga i biglietti dei mezzi di trasporto locali, che vedrà arrivare a casa una cartella come quella di Equitalia, comprensiva di sanzioni e mora per il mancato pagamento

I doveri del lavoratore.


I doveri del lavoratore.
A seguito della stipula del contratto di lavoro, in capo al lavoratore sorge l'obbligazione principale di eseguire la prestazione lavorativa, sottostando, entro i limiti sanciti dalla legge e dai contratti collettivi, al potere direttivo e al potere disciplinare del datore di lavoro.
Sul lavoratore, tuttavia, gravano anche altri rilevanti doveri ed obblighi, espressamente contemplati dal codice civile: si tratta, in particolare, del dovere di diligenza, del dovere di obbedienza (entrambi disciplinati dall'articolo 2104 c.c.) e dell'obbligo di fedeltà (di cui all'articolo 2105 c.c.).
Il dovere di diligenza
Il primo di tali doveri si estrinseca in quello di utilizzare la diligenza richiesta dalla natura della prestazione lavorativa, dall'interesse dell'impresa e (anche se alcuni ritengono tale ultima previsione tacitamente abrogata) dall'interesse superiore della produzione nazionale.
Ciò vuol dire che il lavoratore è tenuto non solo ad eseguire la sua prestazione attenendosi ai canoni tecnici di esecuzione della prestazione a regola d'arte in ragione della natura dell'attività (c.d. “diligenza in senso tecnico”), ma anche a compiere ogni operazione accessoria finalizzata a garantire l'utilità della prestazione stessa per l'organizzazione aziendale ed eventualmente per la produzione nazionale.
Occorre sottolineare che, secondo la dottrina e la giurisprudenza maggioritarie, più che l'oggetto di un'autonoma obbligazione, il dovere di diligenza rappresenta la misura della prestazione dovuta.
Il dovere di obbedienza
Per quanto concerne invece il dovere di obbedienza, esso si estrinseca nel dovere del lavoratore di osservare puntualmente le disposizioni per l'esecuzione del lavoro e per la sua disciplina che gli sono impartite dal datore di lavoro o dai collaboratori di questo che siano a lui sovraordinati.
E' sempre fatto salvo, in ogni caso, il diritto-dovere del lavoratore di rifiutarsi di eseguire atti che siano vietati dalla legge, non solo quando il divieto legale è posto a tutela dell'ordinamento giuridico nel suo complesso, ma pure quando esso è posto a tutela semplicemente delle prerogative spettanti in modo inderogabile a quel singolo dipendente.
Così come il dovere di diligenza, anche il dovere di obbedienza non è dai più considerato l'oggetto di un'autonoma obbligazione ma un elemento necessario per l'esatta esecuzione della prestazione lavorativa.
L'obbligo di fedeltà
Venendo, infine, all'obbligo di fedeltà, esso trova come accennato la sua fonte di disciplina nell'articolo 2105 del codice civile che, più precisamente, pone in capo al lavoratore due divieti: il divieto di concorrenza e il divieto di divulgazione ed abuso dei segreti aziendali.
Nel dettaglio, il divieto di concorrenza, che opera solo in pendenza del rapporto di lavoro, vieta al lavoratore di trattare affari in concorrenza con il proprio datore di lavoro, sia per conto proprio che per conto di terzi. Se il prestatore di lavoro viola tale divieto incorre in una forma di responsabilità contrattuale.
A tal proposito si segnala che la dottrina maggioritaria ritiene che il divieto di concorrenza può reputarsi violato anche soltanto quando l'attività posta in essere dal lavoratore sia potenzialmente lesiva e, quindi, indipendentemente dal fatto che si sia verificato un danno effettivo.
Nel momento in cui il rapporto di lavoro cessa, anche tale divieto viene meno tranne nel caso in cui le parti abbiano stipulato un apposito patto di non concorrenza relativo al periodo successivo allo scioglimento del rapporto. Tale patto, tuttavia, è assoggettato a particolari requisiti di validità. Innanzitutto deve risultare da atto scritto ad substantiam e prevedere a favore del lavoratore un corrispettivo. La sua durata, poi, non può superare i cinque anni per i dirigenti e i tre anni per gli altri lavoratori (nel caso in cui sia pattuita una durata maggiore, essa si riduce automaticamente a tali misure). Infine il patto di non concorrenza deve essere circoscritto, oltre che nel tempo, anche nell'oggetto e nel luogo.
Per quanto riguarda, invece, il divieto di divulgazione e di abuso di segreti aziendali, esso è volto a proibire al lavoratore di divulgare o di utilizzare, a vantaggio proprio o altrui, informazioni attinenti l'impresa, in modo da poterle arrecare danno (compreso, ad esempio, l'elenco dei clienti o i documenti attinenti l'organizzazione aziendale). A differenza del divieto di concorrenza, che cessa al momento dell'estinzione del rapporto di lavoro, l'obbligo di riservatezza permane intatto anche successivamente alla cessazione del rapporto, per tutto il tempo in cui resta l'interesse dell'imprenditore alla segretezza.

Dai circoli ai farmer market


Quando lo Stato favorisce la concorrenza sleale: dai circoli ai farmer market, il giro d’affari delle attività ‘agevolate’ vale circa 3 miliardi. E costa 1 miliardo al Fisco
Quasi 3 miliardi di fatturato, con una perdita di gettito per il fisco di circa 1 miliardo di euro. Sono questi i numeri della distorsione della concorrenza nel commercio e nel turismo favorita dalle norme dello Stato: attività imprenditoriali – come farmer markets, mercatini hobbistici, circoli privati che in realtà sono pubblici esercizi – che non devono seguire le regole seguite dalle altre imprese. E che godono di agevolazioni improprie, sul piano normativo, burocratico e fiscale.
“In questo modo si favorisce una forma di concorrenza sleale che sta mettendo in seria difficoltà le altre imprese, soprattutto in un momento di crisi come questo”, spiega Massimo Vivoli, vicepresidente vicario di Confesercenti Nazionale. “Alcune leggi dello Stato distorcono in modo incomprensibile il mercato di commercio e turismo: le attività agevolate devono sopportare meno oneri burocratici e fiscali degli altri, e hanno quindi meno costi di avvio dell’attività e di esercizio. Un danno anche per lo Stato: se queste imprese venissero sottoposte allo stesso regime degli altri, l’Italia guadagnerebbe 992 milioni di euro l’anno di gettito fiscale”.
Commercio: dai farmer markets ai mercatini dell’usato
Nel settore del commercio gli ‘agevolati’ generano un giro d’affari di 1,550 miliardi di euro: secondo le stime di Confesercenti, infatti, in Italia ci sono circa 40mila mercatini occasionali dell’antiquariato, dell’usato e dell’hobbistica, notti bianche commerciali, sagre e fiere locali non autorizzate, che generano un fatturato di circa 1,1 miliardi di euro; a questi si aggiungono i 450 milioni di euro di giro d’affari legato ai circa 1.100 farmer markets presenti nel Paese e dalle aziende agricole che effettuano vendita permanente. Il conto del gettito fiscale perduto a causa degli agevolati, per il commercio, è di circa 470 milioni di euro, per un fatturato di 1,550 miliardi.
Le agevolazioni nel Commercio:
Mercatini dell’usato: in virtù dell’occasionalità dell’evento, i partecipanti non sono tenuti all’obbligo di apertura della partita Iva e conseguentemente non devono rilasciare lo scontrino o qualsiasi altro tipo di certificazione fiscale.
Farmer Markets: chiamati anche green market, sono dei mercatini in cui gli agricoltori possono vendere direttamente al pubblico. Per i venditori, che dovrebbero essere esclusivamente imprenditori agricoli che commercializzano prodotti provenienti dalla propria azienda, non valgono gli obblighi previsti per il commercio al dettaglio in generale, tra cui il rilascio di scontrino, e sono agevolati dall’applicazione di regimi Iva speciali.
Sagre, feste e vendite di fiori: anche la vendita di prodotti alimentari nelle sagre e le fiere, così come la commercializzazione di piante e fiori durante alcune ricorrenze – ad esempio, durante la festa della mamma – ricadono sotto un regime agevolato. Dal punto di vista fiscale, i proventi generati non concorrono alla formazione di reddito imponibile, né ai fini Iva né per quanto riguarda le imposte sui redditi.
Turismo: dagli agriturismo ai B&B
In questo settore si accavallano problemi di vecchia data, come la somministrazione di alimenti e bevande nei circoli e nelle associazioni private che di fatto sono pubblici esercizi, ma con forti agevolazioni fiscale, e problemi relativamente nuovi, come l’ospitalità in agriturismi e bed and breakfast – attività inizialmente prevista come attività saltuaria e quindi fortemente agevolata, anche quando è continua e quindi non occasionale – e la presenza di guide turistiche non regolari e improvvisate. Il giro di affari generato è di 1,410 miliardi, mentre il gettito ‘bruciato’ dal fisco è di 420 milioni di euro.

Controlli GdF.


Controlli della Guardia di Finanza: come funzionano?
Controlli della Guardia di Finanza: come funzionano? Quali sono i tuoi diritti? Quali sono i limiti all’azione degli agenti? Come vengono emessi gli accertamenti fiscali? Come fare a prepararti ad un contenzioso tributario? In questo post troverai tutte le informazioni necessarie!
La gran parte delle informazioni qui contenute si basano sullo Statuto dei diritti del contribuente, ossia una serie di norme contenute nella legge n.212 del 27 Luglio 2000, intitolata “Disposizioni in materia di statuto dei diritti del contribuente”, e per il resto si basano sulla prassi, sulla giurisprudenza in materia fiscale e sull’esperienza di avvocati e associazioni di categoria.
Controlli della Guardia di Finanza: dove possono svolgersi?
I controlli possono essere svolta nei locali di attività commerciali, agricole, artistiche o professionali “sulla base di esigenze effettive di indagini e controllo sul luogo”. Se questo risultato può essere ottenuto con tecniche meno invasive, il Fisco è tenuto ad adottare queste ultime.
Se si tratta di controlli in merito al rispetto delle norme igienico-sanitarie, la competenza è del reparto NAS dei Carabinieri e delle ASL. La Guardia di Finanza può limitarsi solo al controllo della regolarità di licenze ed autorizzazioni. Inoltre il controllo può avvenire, salvo casi di eccezionale gravità, solo durante l’orario d’ufficio, ed in modo da arrecare la minore turbativa possibile all’attività professionale in corso. Ad esempio, se un ristoratore viene visitato durante le ore pasti, è sua facoltà chiedere agli agenti di aspettare il termine del servizio.
Su richiesta del contribuente, l’esame dei documenti amministrativi e fiscali può avvenire anche presso l’ufficio dei verificatori, o quello del suo commercialista.
Cosa fare quando arrivano gli agenti della Guardia di Finanza
Prima di tutto, quando ricevi la visita, devi accertarti che siano realmente agenti della Finanza: come denunciato da trasmissioni televisive e dalle stesse forze dell’ordine, possono avvenire furti e truffe da parte di finti agenti.
Per evitare questo rischio, ancora prima di farli entrare, puoi (e devi) chiedere di mostrare i tesserini, segnarti i loro dati su un foglio, e poi richiedere un documento personale per confrontare i dati stessi ed accertare quindi che siano veri agenti. In caso si rifiutino, va immediatamente chiamata la polizia o i carabinieri, perché appunto potrebbe trattarsi di truffatori.
Controlli della Guardia di Finanza: l’Ordine di Accesso
Per prima cosa va verificata se gli ispettori hanno con loro “l’Ordine di Accesso” di cui devono fornire copia.
L’Ordine di Accesso contiene le seguenti informazioni:
quali agenti sono autorizzati ad effettuare l’ispezione;
in quali locali, in quale data ed orario deve avvenire l’accesso;
che tipo di controllo verrà svolto.
Se gli agenti indicati nel documento non corrispondono a quelli che sono effettivamente venuti, e a cui hai precedentemente chiesto i nomi, puoi rifiutare il controllo.
L’Ordine di Accesso, che può essere rilasciato solo dal “funzionario dirigente dell’ufficio” oppure dal “comandante del Reparto di Guardia di Finanza”, deve contenere le “ragioni giustificative dell’intervento”, specificando quali aspetti e quali periodi d’imposta saranno soggetti a controllo.
Solo i controlli indicati in questo documento possono essere svolti dagli ispettori. Gli ispettori devono comunicare al contribuente che può avvalersi, durante il controllo, dell’assistenza del suo commercialista. Puoi inoltre chiamare almeno 2 testimoni – famigliari o collaboratori – che non possono mai parlare, e puoi filmare e fotografare l’ispezione. Registrare la conversazione, o meglio filmare l’intera ispezione, se sei nei tuoi locali, è caldamente consigliato.
Non sei tenuto ad offrire sedie, tavoli, acqua, caffè o altri generi di conforto.
Quanto possono durare i controlli della guardia di finanza?
Lo statuto del contribuente regola anche la durata massima delle ispezioni: 15 giorni nel caso di lavoratori autonomi e imprese in regime di contabilità semplificata e 30 giorni negli altri casi. Sono da considerare solo i giorni di effettiva presenza degli ispettori in azienda.
Ogni giorno gli agenti devono redigere e rilasciare un “Processo Verbale Giornaliero” ed al termine del controllo, devono rilasciare un “Processo Verbale di Constatazione” (PVC).
Il contribuente è autorizzato a fare domande e i funzionari sono tenuti a rispondere. Le domande e le eccezioni sollevate dal contribuente vanno sempre verbalizzate.
Può essere inserita nel verbale la formula “Prendo atto dei rilievi mossi che mi riservo di chiarire e/o contestare nelle sedi competenti”, e al contrario va evitata la formula simile, ma molto diversa negli effetti “Accetto i rilievi mossi e mi riservo, se del caso, di contestarli”, che potrebbe essere suggerita dagli ispettori.
Tra le associazioni di categoria c’è chi consiglia di non firmare alcun verbale, ma la scelta di non firmare è ininfluente ai fini della validità dell’atto stesso.
Cosa succede dopo l’ispezione?
A partire dalla data di chiusura del PVC, hai 60 giorni di tempo per presentare memorie difensive all’Agenzia delle Entrate. Al termine dei 60 giorni l’Agenzia delle Entrate può emettere un accertamento. Se lo emette prima di questa scadenza, l’atto è nullo.
È superfluo aggiungere che bisogna immediatamente rivolgersi ad un esperto di contenzioso tributario, anche se gli ispettori ti hanno rassicurato e detto di “stare tranquillo”. Nel corso dei 60 giorni in questione, hai facoltà, tramite raccomandata AR all’Agenzie delle Entrate, di chiedere spiegazioni, se il PVC non è chiaro, e di sollevare eccezioni.
In caso di contenzioso tributario, si possono poi sollevare eccezioni procedurali, ad esempio l’illegittimità nell’ottenimento di una qualche prova da parte degli ispettori, o altre violazioni normative. È invece sconsigliato farlo durante l’ispezione o prima dell’accertamento stesso.
In chiusura, il consiglio principale è di imparare e tenere bene a mente tutte queste istruzioni, e comportarsi di conseguenza, in caso avvenga un controllo.